Domenica delle Palme, il Vangelo
Domenica delle Palme. Il Vangelo della “passio”. La meditazione sui passi del Vangelo che accompagnano Gesú dall’ Osanna alla morte.
- Con la Domenica delle Palme inizia la settimana santa, momento centrale di tutto l’anno liturgico.
- Come consuetudine quindi, in questa Domenica, meditiamo sulla passione del Signore; quest’anno nella prospettiva matteana.
La Passione secondo Matteo
- Matteo, durante la Domenica delle Palme dunque , ci offre una rilettura degli eventi alla luce della risurrezione. “Leggendo la Passione secondo Matteo assistiamo, come folla convocata, al processo di Gesù; nel quale si affrontano la volontà di Dio e quella degli uomini; in un dramma che è pasquale non solo per la sua collocazione temporale, ma anche per la sua dinamica” (E. Bianchi). Il racconto si apre con il tradimento di Giuda che vende il suo maestro, stimandolo trenta denari.
Giuda
- Giuda è stato uno dei dodici: uno degli amici intimi di Gesù. Ma nonostante sia stato con lui, non lo ha conosciuto davvero. Segue il racconto della cena, una cena pasquale dove Gesù istituisce l’eucaristia. Nei segni del pane e del vino è significata la sua vita donata. Gesù la celebra con la sua comunità, una comunità non di “perfetti”, ma di discepoli peccatori: Giuda lo sta tradendo; Pietro, come preannunciato, lo rinnegherà; tutti gli altri, tranne Giovanni, scapperanno nell’ora della prova. “Sì, i convitati di quella cena sono dei peccatori, degli infedeli, un’assemblea che noi giudichiamo indegna di ricevere in dono la vita stessa del Signore. Ma quel dono è per la remissione dei peccati, il calice è sangue dell’alleanza versato per la remissione dei peccati, a cominciare da quelli dei Dodici” (E. Bianchi).
Nel Getsemani
- Quindi Gesù si reca nel Getsemani. Sa che la sua ora sta per compiersi e la affronta pregando. Per la prima volta chiede ai suoi discepoli di aver cura di lui, che preghino per lui. Commuove come il Signore non entri nella sofferenza da supereroe, ma senta paura, angoscia. E lotta pregando; trovando lì, nel rapporto con suo Padre, la forza per donarsi. Gesù sceglie di amare fino in fondo. Non fugge, non si difende, ma si dona liberamente. Affronta il male incombente con un amore sovrabbondante.
La cattura
- Dopo la cattura ecco un processo religioso che si rivela una farsa. L’intento è solo trovare un capo d’accusa contro di lui. A Gesù viene chiesto se è lui il Messia, il Figlio di Dio. «Gesù risponde rinviando Caifa alle sue parole e alla sua coscienza (“Tu l’hai detto”: Mt 26,64); ma svelando anche che, proprio in quella morte ormai prossima, ci sarebbe stato lo svelamento del Figlio dell’uomo; seduto come Giudice alla destra di Dio nella gloria. Parole che indignano e spaventano Caifa, portandolo anche a strappare le sue vesti, segno che il sommo sacerdozio che giudica Gesù è ormai finito, svuotato» (E. Bianchi). Gesù viene poi percosso, umiliato. Pietro, intanto, per la paura finge di non conoscerlo, rinnegando la sua amicizia con lui. Il gallo del canto ne scuote la coscienza e, uscito fuori, piange amaramente. Invece Giuda nella sua disperazione si suicida.
Presso Pilato
- Gesù è condotto da Pilato: il processo religioso poteva accusarlo ma non condannarlo a morte. Pilato interroga Gesù, temendo che ambisse al potere: “Sei tu il re dei giudei?”. La risposta di Gesù è una contro-domanda che rinvia Pilato alla sua coscienza. Pilato coglie l’innocenza di Gesù ma nessuno lo difende; e così, per non perdere il favore del popolo ed evitare sommosse che gli avrebbero dato grattacapi con l’imperatore, Pilato lo fa consegnare alla morte, lavandosene mani e coscienza.
Sul Golgota
- Gesù dopo esser stato flagellato viene condotto sul Golgota, dove viene crocifisso tra due malfattori. «La parodia continua con un cartello che lo disprezza: “Costui è Gesù, il Re dei giudei” (Mt 27,37); un Messia fallito, condannato dall’autorità religiosa come bestemmiatore e da quella politica come malfattore, posto su una croce: il supplizio ignominioso riservato agli schiavi e ai maledetti da Dio e dagli uomini (cf. Dt 21,23; Gal 3,13). Sulla croce Gesù continua ad ascoltare oltraggi, nonché l’ultima eco delle tentazioni vissute all’inizio e poi sempre nella sua missione (cf. Mt 27,39-44). Scendere dalla croce manifestando la sua onnipotenza divina? Salvare se stesso come ha salvato tanti altri? Avere fede in Dio solo se lo libera da quella fine? No, Gesù resta fedele alla sua missione fino alla fine, per questo pone al Padre un’ultima domanda: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mt 27,46; Sal 22,2). Non è una contestazione, ma una preghiera, una richiesta di luce nella tenebra, una confessione: “O Dio, ti resto fedele anche in ciò che vivo come abbandono, tuo silenzio, lontananza da te!”.
Il centurione pagano
- Nessuno tra i presenti può comprendere, ma solo un centurione pagano, sotto la croce, vedendo quella morte arriva a confessare: “Davvero costui era Figlio di Dio!” (Mt 27,54). Così, mentre scende la sera e il corpo di Gesù viene deposto in un sepolcro da discepoli e discepole (cf. Mt 27,57-61), in un pagano è generata la fede in Gesù: in quella morte così atroce, il centurione vede che Gesù ha speranza; che resta fedele a Dio, che vive quella fine come dono, come amore per tutti gli uomini. Quella morte comincia ormai a manifestarsi come resurrezione; come vita, finché il terzo giorno si manifesterà in pienezza il grande mistero della Pasqua di Gesù (cf. Mt 28,1-10)» (E. Bianchi).
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